Gli advertiser e il problema dell'hate speech sulle piattaforme digitali

A livello internazionale si è manifestata negli ultimi giorni una crescente sensibilità degli investitori pubblicitari nei confronti delle principali piattaforme pubblicitarie digitali sulle quali circolano contenuti che incitano all’odio ("hate speech”) e alla discriminazione razziale. Un contesto che può generare significativi rischi reputazionali per i brand e un impatto negativo sull'advertising nei rapporti con la società nel suo complesso.

Si tratta di un tema non nuovo, che UPA ha già trattato più volte (vedi il Libro Bianco sulla Comunicazione Digitale), ma che in questa occasione sta dando luogo a risposte più forti e organizzate, quali l’iniziativa di boicottaggio “Stop hate for profit”.

A questo proposito la WFA (World Federation of Advertisers), di cui fa parte anche UPA, ha recentemente diffuso i risultati di un sondaggio interno realizzato allo scopo di indagare se le aziende intendano sospendere gli investimenti pubblicitari sulle piattaforme digitali coinvolte dall’hate speech.

 

 

Ricordiamo che UPA è impegnata attraverso la WFA nell’alleanza GARM (Global Alliance for Responsible Media), che intende proporre soluzioni concrete per ridurre sensibilmente il fenomeno dell’hate speech. La GARM è in collegamento costante con tutte le principali piattaforme digitali ed è stata anche citata nel positioning ufficiale di Facebook, espresso dalla VP Carolyn Everson, in risposta alle critiche ricevute e alle richieste di cambiamento di policy.